Cartoline dalla Mongolia (e la Baitsaany salat)

 

Bene. Possiamo dire ufficialmente di essere “tornate”. Nei giorni scorsi eravamo ancora nel pallone, avevamo bisogno di un po’ di tempo per realizzare di essere nuovamente “calate” nella nostra vita. Sono bastati un paio di bicchieri di vino con gli amici, una mostra (quella del fotografo Gianni Berengo Gardin a Palazzo Reale…strepitosa!), il parrucchiere, cenette per raccontarsi le vacanze, la spesa al supermercato, l’ufficio, la nostra Milano. Adesso, solo adesso, riusciamo ad essere lucide e “distaccate” per poter affermare che il nostro viaggio tra Cina e Mongolia è stato…una favola. Sì, una fiaba. Magia, stupore, scenari inconsueti, incontri inaspettati, animali di tutti i tipi, paesaggi incantevoli. E come in tutte le favole che si rispettino, non sono mancati gli elementi di “disturbo” e gli imprevisti, le difficoltà e le fatiche. Per farla bere: non è stato un viaggio “leggero”. Tutt’altro. Ma quello che ci ha regalato (anche a livello emotivo) ce lo porteremo dentro tutta la vita. E rifaremmo esattamente tutto (ma proprio tutto) quello che abbiamo fatto. In particolare in Mongolia, la nostra meta “dei sogni”. Natura all’ennesima potenza. 



Un parco naturale immenso, senza confini o barriere. Di una bellezza straniante e potente. Di giorno e di notte. Tra silenzi assoluti e vuoti “rumorosissimi” (non per niente la Mongolia pare sia il paese meno densamente popolato del mondo…e ce ne siamo accorte!). Difficile sintetizzare quello che abbiamo visto e vissuto. Le cose più belle? Sicuramente la prima notte in una gher (la tenda dove vivono i nomadi), al centro del nulla, con il rumore della notte e degli animali a farci “compagnia” e il brusco risveglio con il Ranger della zona del Baga Gazryn Chuluu (abbiamo una foto che testimonia le nostre espressioni basite ma…non la vedrete mai!). 


O il momento in cui, a cavallo, ci siamo ritrovate con la luce del tramonto in un laghetto vicino alle cascate dell’Orkhon Valley National Park, in Mongolia Centrale, circondate da capre, yak, cavalli in libertà, pecore e montoni che si abbeveravano: magia pura, felicità, cuore che batteva forte. In altre parole: il momento “perfetto”. 



Oppure la passeggiata sulle dune di sabbia Khongoriin Els nel Deserto dei Gobi: sono delle dune che “cantano con il vento”, in pratica il movimento della sabbia, con il vento, genera dei suoni…incredibili, simili a un aereo che sta per decollare. Ai piedi delle dune, che da buone “turiste” abbiamo raggiunto cavalcando un cammello (i nomadi che ci ospitavano erano allevatori di cammelli, perciò abbiamo dovuto fare – per nulla convinte – questa buona azione…), tra laghetti e fiumiciattoli, alcuni cavalli giocavano a rincorrersi nell’acqua. Ci siamo guardate e… la bellezza della scena ci ha commosse. Bisogna ammettere che il Deserto dei Gobi è un territorio durissimo ma pieno di vita: animali di tutti i generei, dal dolcissimo pika allo stambecco, dall’asino all’aquilotto. Affascinante di giorno e stupefacente di notte: stellate immense, sopra di noi una cupola perfettamente “disegnata”, con l’orizzonte visibile a 360°. La via Lattea, Orione, l’Orsa Maggiore e la stella Polare, Venere, la Luna e tante, tantissime stelle cadenti. Che spettacolo! 

 

 

Che dire poi dello splendido Monastero buddista di Erdene Zuu, vicino alla città di Kharkhorin (l’antica capitale mongola Karakorum…)? Splendido, con le sue 108 stupas bianche e i tre templi dedicati alle età del Buddha.
 

E il cibo? Beh, possiamo affermare con assoluta certezza, se mai qualcuno avesse dei dubbi, che il cibo non è il miglior biglietto da visita della Mongolia (pur avendo un importante “ruolo sociale”). Non siamo mai riuscite ad assaggiare il celebre montone bollito che tanto temevamo (i nomadi che ci hanno ospitato per la notte – purtroppo o per fortuna – non ce lo hanno mai offerto…), ma abbiamo invece gradito i Khuurshuur(sorta di “panzerotti” fritti, ripieni di bocconcini di montone), che abbiamo assaggiato a una festa campestre, un piccolo Naadam, che abbiamo trovato per caso sul nostro cammino il giorno di Ferragosto: tutte le famiglie di nomadi della regione e i monaci del vicino monastero di Shankh Khiid si sono radunate per assistere alla lotta libera (sport nazionale mongolo) e alle corse a cavallo dei ragazzini. Uno spettacolo incredibile e un’occasione unica per vedere da vicino le usanze e il folclore di questa popolazione. Ci siamo perse a osservare i volti dei presenti, tutti bellissimi e fieri nei loro abiti colorati (le signore) o nei classici del, i cappottoni con fascia colorata in vita (i signori).


Durante la festa anche a noi (eravamo gli unici turisti…) hanno offerto una ciotola di latte di giumenta fermentato, il micidiale Airag, la bevanda simbolo dei Mongoli, leggermente alcolica, che loro consumano a litri e che noi abbiamo appena sorseggiato (le conseguenze di quella preparazione, per il nostro stomaco occidentale, potrebbero essere letali?…).



La cucina mongola si basa prevalentemente sulla carne degli animali che i nomadi allevano (capre, bovini, montone, cavallo e cammello) e sui derivati del latte (buono il formaggio di capra che ci ha offerto una nomade, che viene fatto stagionare sul tetto della gher…), con pochissime verdure (in un paio di “camp” abbiamo avuto l’occasione di mangiare del cavolo cappuccio in insalata, con un condimento acre, che vi riproponiamo qui sotto. Stop) e zero frutta. 


Curiosamente, abbiamo avuto modo di scoprire che in Mongolia viene caldeggiato l’uso delle bacche di sea buckthorn (olivello spinoso), per le sue inteerssanti proprietà.  In definitiva, abbiamo fatto un periodo di disintossicazione da vini e piattini gourmand che non mancano mai nei nostri viaggi vicini e lontani (ma la Cina da questo punto di vista ha portato la situazione in pareggio: in un prossimo post vi racconteremo delle nostre scorribande nei ristoranti di Pechino e del nostro rapporto dolce-amaro con lo street food cinese…). Cosa aggiungere di più? Che alla partenza mai e poi mai avremmo pensato di poter dire, al nostro ritorno, “ma quanto ci manca la Mongolia…”?

Cavolo cappuccio in agrodolce (Baitsaany salat)

Ingredienti:


mezzo cavolo cappuccio (o crauti bianchi)
2 cucchiai scarsi di aceto di mele
1 cucchiaio di zucchero integrale bio
1 cucchiaio scarso di zenzero in polvere
2 cucchiai di olio extra vergine di oliva
semi di sesamo neri

Tagliare a striscioline sottili il cavolo, ben lavato e mondato. Preparare un’emulsione con aceto, olio, zenzero e zucchero (può essere utile un vasettino con tappo ermetico), versarla sul cavolo, mescolare bene e lasciare insaporire per una mezz’ora, mescolando di tanto in tanto. Prima di servire completare con una spolverata di semi di sesamo nero. La ricetta tradizionale prevedeva l’utilizzo di due cucchiai di acqua al posto dell’olio extra vergine di oliva, che ovviamente è una nostra variante, così come i semi di sesamo neri.

12 Comments
  1. Mi perdo con la fantasia nel leggere questi dettagli di viaggio, anche se più che un viaggio, lo definirei un’esperienza che arricchisce molto.
    Col tempo ho imparato che molto spesso proprio le situazioni non ottimali in viaggio si trasformano nei ricordi più belli.
    Bella ricetta, fresca e saporita.

    Fabio

  2. Ecco perché non sono brava in cucina mi manca la vostra poesia miscelata alla pratica….. Mi sa che desso che ho iniziato a viaggiare con voi, inizierò anche a cucinare con voi! Laura

  3. Che esperienza intensa stare così a stretto contatto con un popolo e le sue usanze, perdersi quasi in una terra sconfinata, per davvero a contatto con la natura. Il vostro racconto di viaggio mi è piaciuto molto.

  4. Ragazze ma voi siete matte! Non vi conosco di persona ma non so se mi hanno commossa di + le vs parole (che racconto!!!!!brividi) o le vs foto (wow). Pazze! Tanti complimenti da una lettrice silenziosa del vostro bellissimo blog
    Chiara

  5. deve essere un luogo meraviglioso…confermate le parole che mi hanno detto degli amici andati anche loro in Mongolia! che dire? Mi avete messo addosso una voglia matta di andarci! Buon fine settimana, un abbraccio grande !

  6. Vi confesso che a livello professionale, ogni qualvolta un cliente si siede presso il mio banco chiedendomi una destinazione inusuale come questa e motivando la sua scelta, io sono felice di fare questo lavoro. Sono felice perché vedo la scintilla, la volontà e lo spirito del viaggiatore. Non è facile. Si contano sulla punta della dita. Però raggiungere luoghi come questo ti riporta a contatto profondo con l’individuo che è dentro di noi. Qualcuno dice che non è necessario andare troppo lontano. Io dico che a volte farebbe bene a tutti!
    Viaggio meraviglioso, mi sono emozionata. Un abbraccio, PAt

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